Category: Testimonianze

11 Lug
By: Claudia Silivestro 0

Monsignor Paglia interviene sulla vita degli anziani nelle Rsa

La lettera al Corriere della Sera del 10 luglio: in gioco il senso che vogliamo dare alle nostre vite e alla vecchiaia

Monsignor Paglia ha scritto una lettera al Corriere della Sera, pubblicata lunedì 10 luglio, dopo la tragedia di Casa dei Coniugi di venerdì scorso. Vincenzo Paglia, che è presidente della Commissione per l’attuazione della riforma socio-sanitaria per gli anziani del ministero della Salute, ha ricordato che, per l’incidente nella Rsa, dinamiche e responsabilità dovranno essere accertate da parte delle autorità competenti. Il suo punto di vista, però, è quello di una riflessione più ampia sulla qualità della vita degli anziani. L’incendio a Casa dei Coniugi è solo il segnale di carenze di sicurezza, innegabili, nelle Rsa o c’è qualcosa d’altro?
Monsignor Paglia invita a domandarsi:

“È giusto vivere così gli ultimi anni della propria vita? In un casermone coi vetri delle finestre difficili da aprire, soli in un ambiente affollato, ma di fatto soli? O vivere e morire così a casa, senza uno straccio di aiuto, familiare o pubblico e privato? Le statistiche Istat ci dicono che così vivano centinaia di migliaia (anche milioni) di over 65. Davvero vogliamo per noi e per i nostri cari una vecchiaia così?”.

L’occasione per rivedere il presente e il futuro della terza età c’è: è la legge delega anziani, che dopo l’approvazione, attende l’applicazione concreta dei decreti attuativi. Monsignor Paglia scrive di un “sogno”, un ideale che dovrebbe essere il nostro auspicio per una terza età serena:

“il sogno di una vita a casa propria, o almeno in luoghi aperti, civilmente inseriti in un tessuto umano e sociale, circondati da quelle cure che permettono agli esseri umani di sentirsi ancora tali”.

Per leggere l’intervento di Monsignor Paglia in versione integrale:

Paglia10luglio2023

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Guerra in Ucraina 21 Feb
By: Claudia Silivestro 0

Guerra in Ucraina: le conseguenze per le persone anziane

Il rapporto di Amnesty International, già a dicembre 2022, testimoniava il prezzo pagato dagli over 60 nel conflitto

La guerra in Ucraina colpisce in modo particolare gli anziani. Lo ricorda il rapporto di Amnesty International, divulgato a fine 2022, dal titolo “Quando avevo una casa: l’esperienza della guerra, dello sfollamento e dell’accesso agli alloggi per gli anziani in Ucraina”. Il conflitto che, dal 24 febbraio 2022, ha coinvolto l’Ucraina è stato ed è devastante per tutti, militari e civili, ma, per citare solo alcuni numeri, nel periodo tra febbraio e settembre 2022, ben il 34 per cento delle vittime civili ucraine era costituito da ultrasessantenni; tra i feriti, circa il 28 per cento aveva età pari o superiore a sessant’anni.
Sono anziane, spesso, le persone che, per necessità o volontà, non abbandonano le loro case nelle città bombardate, esponendosi a rischi maggiori. Molti di loro restano nelle zone più colpite dal conflitto, spesso in abitazioni parzialmente distrutte, prive di elettricità, senza possibilità di accesso alle strutture sanitarie o ai servizi essenziali.

Guerra in Ucraina: il problema degli sfollati

Anche gli anziani che provano a scappare dalla guerra si trovano in difficoltà. Il rapporto sottolinea i disagi dei disabili anziani e dei più poveri, in un paese che, anche prima della guerra, aveva una percentuale alta di pensionati a basso e bassissimo reddito. Per molti over 60, disabili e non, la soluzione prospettata è il ricovero in istituti per anziani, in condizioni di mera sopravvivenza. Secondo il Ministero ucraino delle Politiche sociali, solo a luglio del 2022, gli spostamenti sono stati di oltre 4000 anziani.

Si legge nel report che, spesso, negli istituti gli anziani con mobilità ridotta non vengono quasi mai spostati dai loro letti e non viene fornito loro nessun tipo di supporto, oltre all’alimentazione e ai servizi igienici di base.

Per Amnesty International, questa guerra, come tante ancora in corso, deve servire da campanello di allarme per la comunità internazionale, anche nella direzione di accelerare il processo verso la elaborazione di una convenzione internazionale specifica per la protezione dei diritti degli anziani.

In foto: un particolare di un’immagine pubblicata nel rapporto “I used to have a home”- Older people’s experience of war, displacement and access to housing in Ukraine” 

Per saperne di più:

https://www.amnesty.org/en/documents/eur50/6250/2022/en/

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26 Nov
By: Staff 0

Morire soli in una RSA. Testimonianza

Come sappiamo il Covid – 19 non ha solo creato solo lutti e dolori a causa del contagio, ma ne ha creato altri, non meno tragici, determinati dall’isolamento e dalla solitudine. Di seguito una drammatica testimonianza.


Mi chiamo Maria e volevo narrarvi la mia storia, cosa ho vissuto ultimamente, in questo periodo strano in cui il Coronavirus ha creato delle situazioni che potrebbero definirsi nuove violenze.

Due anni fa a Paolo, mio marito, hanno diagnosticato l’Alzheimer e ha cominciato a perdere una parte di sé, ma pur dimenticandosi quello che due minuti prima aveva fatto o detto, mi ha sempre riconosciuto e interagito con me normalmente.

Fino a quest’estate quando è caduto facendosi male e l’hanno ricoverato in ospedale.

Dieci giorni senza vederci o quasi aspettando l’esito del tampone, che per fortuna era negativo, lo hanno cambiato, ma ancora era lui rispondeva alle nostre domande e ci riconosceva.

Al momento di dimetterlo, dopo circa venti giorni di ricovero, Paolo non camminava più e i medici ci hanno sconsigliato di portarlo a casa in quanto non saremmo riusciti a gestirlo.

Con dispiacere lo abbiamo ricoverato in una RSA, ma anche lì, pur pervenendo da un ospedale che lo aveva rilasciato con tampone negativo, la procedura richiedeva che fosse messo in quarantena e atteso il tampone.

Questi continui spostamenti e soprattutto il non poterci vedere hanno comportato un peggioramento improvviso e, quando dopo i quindici giorni fatidici, siamo andati a trovarlo non ci riconosceva più, non parlava quasi.

In RSA lo hanno trattato bene, vedevo le infermiere essere gentili, ma naturalmente non potevano dedicare molto tempo a stimolarlo e dopo neanche un mese ci hanno chiamato dicendo che era in fin di vita.

Mi hanno bardata con cuffia, soprascarpe, tuta, due mascherine per poterlo vedere un’ultima volta.

Paolo ci ha impiegato una settimana attaccato alla bombola d’ossigeno e alla flebo a morire ed è sempre risultato negativo al covid, ma io non ho potuto restare con lui, rivederlo. E’ morto solo.

Questo è un grande dolore per me, una violenza dovuta a questa pestilenza.

Dopo 68 anni di matrimonio, una vita insieme, non ho potuto stargli vicino nel momento in cui aveva più bisogno di me, o forse io avevo più bisogno di stargli vicina.

Forse per voi non lo è, ma io l’ho vissuta come una violenza e un grande dolore.

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